@article{Barbera_2017, title={Editoriale. La Città degli Spazi Pubblici}, volume={7}, url={http://architetturadellecitta.it/index.php/adc/article/view/140}, abstractNote={“Ogni paesaggio si presenta dapprima come un immenso disordine, che lascia liberi di scegliere il senso che si preferisce attribuirgli”; così Claude Levi-Strauss, a metà delsecolo scorso, sembra parlare della natura mentre parla, invece, della natura delle città. Delle città moderne. E senza alcuna incertezza pone il suo ragionare sul filo delle scuoledi pensiero e di poesia che, da almeno due secoli prima di lui, con la più grande chiarezzahanno osservato e interpretato il mutare della forma e delle funzioni della città e iltravolgimento degli antichi significati, impegnandosi nella ricerca dei nuovi. L’Abate Laugier nacque nel 1713, esattamente nel momento del trionfo dell’Assolutismo, altermine del processo di annichilimento delle funzioni pubbliche e collettive della democrazia urbana medievale, per la quale le campane a morto erano già suonate nel Rinascimento. L’integrazione, anche simbolica, degli spazi pubblici – religiosi, assemblearie commerciali – rappresentati dalle piazze, spesso concatenate, della cattedrale, delle funzioni civili e del mercato, era stata spezzata dall’emergere di poteri centrali – statali, diremmo noi – per i quali i cittadini tutti erano divenuti sudditi – meno i pochi, rarissimi Pari, lautamente mantenuti dallo stesso potere centrale. Come sempre nella storia degliinsediamenti umani, dissolti i significati, ridotte o annullate le funzioni restano, nella cittàche cresce su sé stessa o si contrae – ma comunque si trasforma – gli spazi e le formeantiche. Esse, proprio nel momento della sconfitta definitiva delle ragioni che le hannogenerate, paiono rivelare l’autonoma personalità del loro linguaggio tettonico e lapermanente forza emozionale del loro spazio come se esse non fossero il punto di arrivo di speciali percorsi della storia, ma proto-tipi emersi dal più profondo deposito dellacondizione umana: cioè come fossero tipi urbani – così diciamo noi architetti – contemplati ab origine nelle vastissime tavole delle “tipologie” della città e dell’architettura,vere e proprie “sintesi a priori”, secondo quanto tentarono di insegnarci alcuni fatalimaestri della Scuola di Roma. Così, persa la loro originaria pregnanza di significati, formee funzioni, le tipologie dei luoghi pubblici si prestarono subito a costituire l’archivio deidispositivi per la composizione della grande scena della città moderna, ormai così vasta ecosì priva di chiari messaggi da indurre il Laugier, appunto, a prescriverci: “il faut regarderune ville comme une forêt”. E dopo di lui ecco Francesco Milizia riprendere quellaprescrizione per completarla: “Una città è come una foresta, onde la distribuzione di unacittà è come quella di un parco. Ci vogliono piazze, capo croci, strade in quantità, spaziosee dritte. Ma questo non basta; bisogna il piano ne sia disegnato con gusto e con brio affinché vi si trovi insieme ordine e bizzarria, euritmia e varietà; qui le strade si partano astella, colà a zampa d’oca, da una parte a spica, dall’altra a ventaglio, più lungi parallele,da per tutto trivi e quadrivi in diverse posizioni con una moltitudine di piazze di figura, digrandezza e di decorazione tutte differenti. Quanto più in questa composizione regnerà lascelta, l’abbondanza, il contrasto e fino anche qualche disordine, più sarà pittoresca econterrà bellezze piccanti e deliziose. (Principj di Architettura Civile, 1781)”. Pierre Patte,dunque, pochi anni dopo, potrà ben punteggiare con Piazze Reali d’ogni forma – con gustoe con brio – il disegno del già immenso corpo della capitale dell’Ancient Régime: piazzevere o immaginate, luoghi destinati, comunque, a variare di significato, funzione e nomenello scorrere della modernità come spazi pubblici vaghi e tuttavia indispensabili, dove sipuò erigere il trono o adunare folle, abbattere statue o alzare ghigliottine, piantare giardini, raccogliere eleganza e soprattutto aprire gli alberghi e i caffè nei cui spazi più intimi iflaneurs, i cittadini senza interesse pubblico se non la difesa della propria individualità nellabirinto della massa infinita, possano di tanto in tanto posarsi, come uccelli senza meta,sul ramo: “La folla è il suo elemento, come l’aria è quello degli uccelli” dice WalterBenjiamin del flaneur, il moderno cittadino senza pubblica speranza, modellato su sestesso da Baudelaire. Charles Baudelaire nasce nel 1821; è passato poco più di un secolodalla nascita dell’Abate Laugier: tutto è compiuto? [continua]}, number={10}, journal={L’architettura delle città  - The Journal of the Scientific Society Ludovico Quaroni}, author={Barbera, Lucio Valerio}, year={2017}, month={Jul.} }