Archives
-
Sul progetto di restauro. Varietà di ‘atteggiamenti’
Vol. 18 No. 24 (2024)Predisporre un numero monografico interamente dedicato al restauro per la rivista “L’ADC. L’architettura delle città”, periodico che ha come obiettivo editoriale quello di approfondire attraverso studi architettonici, storici, tecnologici e urbanistici la valorizzazione delle città, ha rappresentato un’importante occasione per affrontare sia la complessità dell’ambito disciplinare, nella sua reale ‘attualità’, sia la contemporaneità degli strumenti progettuali finalizzati alla conservazione del patrimonio storico; si è voluto, infatti, dedicare un intero spazio ai modi d’intendere il restauro oggi, tra pensiero teorico e prassi operativa. L’iniziativa di curare un volume speciale sul restauro architettonico, che risale al periodo della pandemia Covid, è stata sollecitata da Lucio Valerio Barbera, direttore scientifico della rivista, e accolta con entusiasmo da uno dei membri del comitato scientifico, Giovanni Carbonara, sempre attento all’attualità e all’evoluzione della disciplina, venuto purtroppo a mancare il 1° febbraio del 2023. Al suo ricordo è dedicato questo numero di L’ADC.
A cura di Antonella Romano, Maria Grazia Turco.
Preparing a special monographic issue entirely dedicated to restoration for the journal “L’ADC. L’architettura delle città” — a periodical that aims to enhance cities through architectural, historical, technological, and urban studies — provided an important opportunity to address the complexity of the discipline in its true ‘current’ relevance, as well as the contemporary tools designed for the conservation of historical heritage. This issue dedicates an entire space to understanding today’s approaches to restoration, positioned between theoretical thought and practical application. The initiative to curate a special volume on architectural restoration, originating during the Covid pandemic, was encouraged by Lucio Valerio Barbera, the journal’s scientific director, and warmly supported by one of the scientific committee members, Giovanni Carbonara, who remained attentive to the discipline’s evolution and contemporary relevance until his passing on February 1, 2023. This issue of L’ADC is dedicated to his memory.Edited by Antonella Romano, Maria Grazia Turco.
-
Il gruppo AUA Architetti Urbanisti Associati (1958-1965). La formazione giovanile di un gruppo di personalità della Scuola di Architettura italiana - II
Vol. 17 No. 22-23 (2023)L’AUA, Architetti Urbanisti Associati, (1961-1965), uno degli studi romani apparsi, all’inizio degli anni Sessanta, con intenzioni decisamente innovative, si formò come evoluzione di un gruppo spontaneo di studenti di Architettura della Sapienza impegnati sia nella politica universitaria (Unione Goliardica Italiana) sia in una partecipazione fortemente critica al dibattito sugli indirizzi culturali e formativi della Facoltà. In quella prima fase (1958-1961) il gruppo non ebbe un nome e fu individuato semplicemente come “gli studenti di Via Tiepolo”, dall’indirizzo della sede comune dove, oltre a studiare, disegnare, progettare, essi resero permanente il confronto intellettuale e politico tra loro stessi e con molti altri amici e colleghi che della frequentazione di “via Tiepolo” fecero un complemento importante della propria formazione di architetti. Quel primo gruppo – “gli studenti di Via Tiepolo” – è oggi noto e ricordato in particolare come il promotore e l’animatore della prima organizzazione studentesca spontanea di Facoltà, l’Associazione Studenti ed Architetti, ASeA, che fu protagonista, nella scuola, delle prime importanti azioni di contestazione e di proposta culturale innovativa; nei fatti, occorre riferirsi all’ASeA per comprendere le ragioni prime della scelta associativa fatta da quel gruppo di studenti, che divenne presto culturalmente omogeneo e coeso, intenzionato a sviluppare la propria azione di rinnovamento trasferendolo dal campo universitario a quello della pratica architettonica e urbanistica; che essi affrontarono fondando, poi, l’AUA (Architetti e Urbanisti Associati) non appena i primi di loro raggiunsero la laurea. Gli anni in cui il gruppo fu attivo e manifestò subito un atteggiamento anticonformista, sono stati densi di eventi e rivolgimenti nella politica e nella cultura nazionale ed internazionale. Fra le più significative attività del gruppo vi furono: azioni di auto-formazione e didattica auto-gestita per le matricole, con l’intento di superare la silenziosa censura che alcuni fondamentali corsi di storia e di progettazione della Facoltà stendevano sull’attualità dell’architettura (Movimento moderno, New Brutalism, Nuove Avanguardie); la partecipazione ad importanti concorsi di progettazione, non pochi dei quali con esiti positivi o con premi come, ad esempio, fu nei concorsi per la Rocca di Fano, per il restauro e il riuso della Cittadella Rinascimentale di Parma, per l’Ospedale di Cannaregio a Venezia, per il Centro direzionale di Torino. In parallelo il gruppo sviluppò una fondamentale attività editoriale che incluse la partecipazione alla serie di monografie – edizioni Cappelli – sull’architettura moderna nei paesi guida dell’architettura contemporanea (Gran Bretagna, Giappone, Stati Uniti, Unione Sovietica ecc.) e l’elaborazione di saggi e interventi in seno al dibattito architettonico animato dalle riviste “Casabella”, “L’architettura. Cronache e Storia” ed altre. Molti, quasi tutti i componenti del gruppo, iniziarono presto un impegno in campo accademico che avrebbe portato alcuni di loro, in fasi diverse, ad essere protagonisti del moto di rinnovamento che animò le Facoltà di Architettura italiane dopo gli anni Sessanta del secolo scorso. Contemporaneamente, essi tentarono una via alla professione fondata sull’impegno dei progettisti a farsi suscitatori e organizzatori di un committente sociale collettivo da rendere consapevolmente partecipe delle scelte progettuali sul proprio “abitare la città”. Un impegno che, iniziato nell’AUA, coinvolse non pochi suoi componenti per anni, prima e dopo lo scioglimento del gruppo, in stretta collaborazione con la Lega delle Cooperative.
Nel 1964, l’anno prima dello scioglimento consensuale, l’AUA raggiunse il numero di 14 componenti: Lucio Barbera, Sergio Bracco, Sandro Calza Bini, Enrico Fattinnanzi, Massimo La Perna, Claudio Maroni, Gianfranco Moneta, Maurizio Moretti, Giorgio Piccinato, Vieri Quilici, Stefano Ray, Bernardo Rossi Doria, Manfredo Tafuri, Massimo Teodori. Tre in più rispetto agli 11 firmatari del Manifesto dell’ASeA, anche se furono soltanto otto i firmatari della prima Dichiarazione d’intenti dell’AUA, intitolata Architettura e Società, che stabiliva scopi, indirizzi e metodi di una professione rinnovata. Il gruppo ASeA-AUA fu tra gli organizzatori della prima occupazione studentesca della Facoltà di Roma nel 1956 per contestare, assieme ad altre sedi universitarie nazionali, una legge (n. 1378, 8 dicembre 1956) che, reintroducendo gli esami di stato, permetteva agli ingegneri di iscriversi all’Ordine degli architetti rendendo praticamente impossibile l’inverso. La seconda occupazione della Facoltà (dicembre 1960), più nota e documentata, ebbe l’effetto di una vera e propria deflagrazione del dissenso degli studenti intellettualmente più impegnati rispetto all’insegnamento di Saverio Muratori, dominante negli anni finali del Corso di Laurea. Ben note sono anche le vicende – riportate sulla rivista Architettura Cronache e Storia – della mostra organizzata dal gruppo ASeA-AUA alla Fondazione Olivetti, nella quale fu presentato il cosiddetto “Tavolo degli Orrori” composto con progetti elaborati nei Corsi del professor Muratori con chiarissimo – e ideologico – riferimento alla Seconda Esposizione dell’Architettura Razionale Italiana del 1931. Quell’occupazione e le manifestazioni ad essa collegate, aprirono un intenso e persino drammatico periodo di riforma della scuola d’Architettura. L’iniziativa del gruppo aveva dato forza a una latente insoddisfazione di parte del Consiglio di Facoltà nei riguardi dei metodi e delle concezioni didattiche di Saverio Muratori. Nei due anni successivi all’iniziativa degli studenti la Facoltà in un primo momento offrì un corso alternativo ai corsi muratoriani affidandolo – dopo una breve, ma brillante transizione affidata a Saul Greco – ad Adalberto Libera, chiamato appositamente da Firenze per insegnare a Roma. Ma pochi mesi dopo la Facoltà fece un ulteriore e più deciso balzo in avanti, rispondendo alla morte improvvisa e drammatica dello stesso Libera, con un ancora più deciso impegno riformatore che ebbe come culmine il Convegno del Roxy (novembre 1963) che celebrò il ritorno nella Facoltà di Architettura di Roma di Luigi Piccinato e Ludovico Quaroni e la chiamata di Bruno Zevi da Venezia. In tutta questa fase i componenti del gruppo ASeA-AUA furono presenti, ormai giovani docenti innovatori, in un ruolo che, per un certo tempo, parve indispensabile al nuovo assetto della Facoltà. Crediamo, dunque, che lo studio delle vicende del gruppo ASeA-AUA, possa essere una fonte importante per costruire una un’aggiornata visione critica della Storia della Facoltà di Roma – e non solo. Per questo in due numeri de “L’architettura delle città – The Journal of the Scientific Society Ludovico Quaroni” abbiamo raccolto e pubblicato documenti, progetti e memorie di quel gruppo di “antichi” giovani architetti riguardanti gli anni della loro formazione; che furono gli anni nei quali sembrò a molti italiani che si potessero realizzare le speranze di una intera generazione. (Lucio Barbera, Vieri Quilici) A cura di Lucio Barbera, Vieri Quilici, con Anna Irene Del MonacoThe AUA, Architetti Urbanisti Associati, (1961-1965), one of the Roman studios that appeared at the beginning of the 1960s with decidedly innovative intentions, was formed as an evolution of a spontaneous group of architecture students at Sapienza University who were involved both in university politics (Unione Goliardica Italiana) and in a highly critical participation in the debate on the cultural and educational directions of the Faculty. In that first phase (1958-1961) the group did not have a name and was identified simply as “the students of Via Tiepolo”, from the address of the common headquarters where, in addition to studying, drawing, designing, they made permanent the intellectual and political exchange between themselves and with many other friends and colleagues who made the frequentation of “via Tiepolo” an important complement to their training as architects. That first group – “the students of Via Tiepolo” – is today known and remembered in particular as the promoter and animator of the first spontaneous student organization of the Faculty, the Association of Students and Architects, ASeA, which was the protagonist, in the school, of the first important actions of protest and innovative cultural proposal; in fact, it is necessary to refer to the ASeA to understand the primary reasons for the associative choice made by that group of students, which soon became culturally homogeneous and cohesive, intending to develop its own action of renewal by transferring it from the university field to that of architectural and urban planning practice; which they faced by founding, then, the AUA (Associated Architects and Urbanists) as soon as the first of them graduated. The years in which the group was active and immediately showed an anti-conformist attitude, were full of events and upheavals in national and international politics and culture. Among the most significant activities of the group were: self-training and self-managed teaching for freshmen, with the aim of overcoming the silent censorship that some fundamental history and design courses of the Faculty spread on the current affairs of architecture (Modern Movement, New Brutalism, New Avant-gardes); participation in important design competitions, many of which with positive results or with prizes, such as, for example, in the competitions for the Rocca di Fano, for the restoration and reuse of the Renaissance Citadel of Parma, for the Cannaregio Hospital in Venice, for the Business Center of Turin. In parallel, the group developed a fundamental editorial activity that included participation in the series of monographs – Cappelli editions – on modern architecture in the leading countries of contemporary architecture (Great Britain, Japan, the United States, the Soviet Union, etc.) and the elaboration of essays and interventions within the architectural debate animated by the magazines “Casabella”, “L’architettura. Cronache e Storia” and others. Many, almost all the members of the group, soon began a commitment in the academic field that would lead some of them, in different phases, to be protagonists of the movement of renewal that animated the Italian Faculties of Architecture after the Sixties of the last century. At the same time, they attempted a path to the profession based on the commitment of the designers to become instigators and organizers of a collective social client to be made consciously involved in the design choices on their "inhabiting the city". A commitment that, begun in the AUA, involved many of its members for years, before and after the dissolution of the group, in close collaboration with the Lega delle Cooperative. In 1964, the year before its consensual dissolution, the AUA reached the number of 14 members: Lucio Barbera, Sergio Bracco, Sandro Calza Bini, Enrico Fattinnanzi, Massimo La Perna, Claudio Maroni, Gianfranco Moneta, Maurizio Moretti, Giorgio Piccinato, Vieri Quilici, Stefano Ray, Bernardo Rossi Doria, Manfredo Tafuri, Massimo Teodori. Three more than the 11 signatories of the ASeA Manifesto, even though only eight were signatories of the first Declaration of Intent of the AUA, entitled Architecture and Society, which established the aims, directions and methods of a renewed profession. The ASeA-AUA group was among the organizers of the first student occupation of the Faculty of Rome in 1956 to contest, together with other national universities, a law (n. 1378, 8 December 1956) which, by reintroducing state exams, allowed engineers to register with the Order of Architects, making the reverse practically impossible. The second occupation of the Faculty (December 1960), better known and documented, had the effect of a real explosion of dissent from the students who were intellectually more committed to the teaching of Saverio Muratori, dominant in the final years of the Degree Course. Also well known are the events – reported in the magazine Architettura Cronache e Storia – of the exhibition organized by the ASeA-AUA group at the Olivetti Foundation, in which the so-called “Table of Horrors” was presented, composed of projects developed in Professor Muratori’s courses with a very clear – and ideological – reference to the Second Exhibition of Italian Rational Architecture of 1931. That occupation and the demonstrations connected to it opened an intense and even dramatic period of reform of the School of Architecture. The group’s initiative had given strength to a latent dissatisfaction on the part of the Faculty Council with regard to the methods and teaching concepts of Saverio Muratori. In the two years following the students’ initiative, the Faculty initially offered an alternative course to the Muratorian courses, entrusting it – after a brief but brilliant transition entrusted to Saul Greco – to Adalberto Libera, called specifically from Florence to teach in Rome. But a few months later the Faculty made a further and more decisive leap forward, responding to the sudden and dramatic death of Libera himself, with an even more decisive commitment to reform that culminated in the Roxy Conference (November 1963) which celebrated the return to the Faculty of Architecture in Rome of Luigi Piccinato and Ludovico Quaroni and the call of Bruno Zevi from Venice. Throughout this phase the members of the ASeA-AUA group were present, now young and innovative teachers, in a role that, for a certain time, seemed indispensable to the new structure of the Faculty. We therefore believe that the study of the events of the ASeA-AUA group can be an important source for building an updated critical vision of the History of the Faculty of Rome – and not only that. For this reason, in two issues of “L’architettura delle città – The Journal of the Scientific Society Ludovico Quaroni” we have collected and published documents, projects and memories of that group of “ancient” young architects regarding the years of their training; which were the years in which it seemed to many Italians that the hopes of an entire generation could be realized. (Lucio Barbera, Vieri Quilici)
Edited by Lucio Barbera, Vieri Quilici, with Anna Irene Del Monaco -
Il gruppo AUA Architetti Urbanisti Associati (1958-1965). La formazione giovanile di un gruppo di personalità della Scuola di Architettura italiana - I
Vol. 16 No. 20-21 (2022)L’AUA, Architetti Urbanisti Associati, (1961-1965), uno degli studi romani apparsi, all’inizio degli anni Sessanta, con intenzioni decisamente innovative, si formò come evoluzione di un gruppo spontaneo di studenti di Architettura della Sapienza impegnati sia nella politica universitaria (Unione Goliardica Italiana) sia in una partecipazione fortemente critica al dibattito sugli indirizzi culturali e formativi della Facoltà. In quella prima fase (1958-1961) il gruppo non ebbe un nome e fu individuato semplicemente come “gli studenti di Via Tiepolo”, dall’indirizzo della sede comune dove, oltre a studiare, disegnare, progettare, essi resero permanente il confronto intellettuale e politico tra loro stessi e con molti altri amici e colleghi che della frequentazione di “via Tiepolo” fecero un complemento importante della propria formazione di architetti. Quel primo gruppo – “gli studenti di Via Tiepolo” – è oggi noto e ricordato in particolare come il promotore e l’animatore della prima organizzazione studentesca spontanea di Facoltà, l’Associazione Studenti ed Architetti, ASeA, che fu protagonista, nella scuola, delle prime importanti azioni di contestazione e di proposta culturale innovativa; nei fatti, occorre riferirsi all’ASeA per comprendere le ragioni prime della scelta associativa fatta da quel gruppo di studenti, che divenne presto culturalmente omogeneo e coeso, intenzionato a sviluppare la propria azione di rinnovamento trasferendolo dal campo universitario a quello della pratica architettonica e urbanistica; che essi affrontarono fondando, poi, l’AUA (Architetti e Urbanisti Associati) non appena i primi di loro raggiunsero la laurea. Gli anni in cui il gruppo fu attivo e manifestò subito un atteggiamento anticonformista, sono stati densi di eventi e rivolgimenti nella politica e nella cultura nazionale ed internazionale. Fra le più significative attività del gruppo vi furono: azioni di auto-formazione e didattica auto-gestita per le matricole, con l’intento di superare la silenziosa censura che alcuni fondamentali corsi di storia e di progettazione della Facoltà stendevano sull’attualità dell’architettura (Movimento moderno, New Brutalism, Nuove Avanguardie); la partecipazione ad importanti concorsi di progettazione, non pochi dei quali con esiti positivi o con premi come, ad esempio, fu nei concorsi per la Rocca di Fano, per il restauro e il riuso della Cittadella Rinascimentale di Parma, per l’Ospedale di Cannaregio a Venezia, per il Centro direzionale di Torino. In parallelo il gruppo sviluppò una fondamentale attività editoriale che incluse la partecipazione alla serie di monografie – edizioni Cappelli – sull’architettura moderna nei paesi guida dell’architettura contemporanea (Gran Bretagna, Giappone, Stati Uniti, Unione Sovietica ecc.) e l’elaborazione di saggi e interventi in seno al dibattito architettonico animato dalle riviste “Casabella”, “L’architettura. Cronache e Storia” ed altre. Molti, quasi tutti i componenti del gruppo, iniziarono presto un impegno in campo accademico che avrebbe portato alcuni di loro, in fasi diverse, ad essere protagonisti del moto di rinnovamento che animò le Facoltà di Architettura italiane dopo gli anni Sessanta del secolo scorso. Contemporaneamente, essi tentarono una via alla professione fondata sull’impegno dei progettisti a farsi suscitatori e organizzatori di un committente sociale collettivo da rendere consapevolmente partecipe delle scelte progettuali sul proprio “abitare la città”. Un impegno che, iniziato nell’AUA, coinvolse non pochi suoi componenti per anni, prima e dopo lo scioglimento del gruppo, in stretta collaborazione con la Lega delle Cooperative.
Nel 1964, l’anno prima dello scioglimento consensuale, l’AUA raggiunse il numero di 14 componenti: Lucio Barbera, Sergio Bracco, Sandro Calza Bini, Enrico Fattinnanzi, Massimo La Perna, Claudio Maroni, Gianfranco Moneta, Maurizio Moretti, Giorgio Piccinato, Vieri Quilici, Stefano Ray, Bernardo Rossi Doria, Manfredo Tafuri, Massimo Teodori. Tre in più rispetto agli 11 firmatari del Manifesto dell’ASeA, anche se furono soltanto otto i firmatari della prima Dichiarazione d’intenti dell’AUA, intitolata Architettura e Società, che stabiliva scopi, indirizzi e metodi di una professione rinnovata. Il gruppo ASeA-AUA fu tra gli organizzatori della prima occupazione studentesca della Facoltà di Roma nel 1956 per contestare, assieme ad altre sedi universitarie nazionali, una legge (n. 1378, 8 dicembre 1956) che, reintroducendo gli esami di stato, permetteva agli ingegneri di iscriversi all’Ordine degli architetti rendendo praticamente impossibile l’inverso. La seconda occupazione della Facoltà (dicembre 1960), più nota e documentata, ebbe l’effetto di una vera e propria deflagrazione del dissenso degli studenti intellettualmente più impegnati rispetto all’insegnamento di Saverio Muratori, dominante negli anni finali del Corso di Laurea. Ben note sono anche le vicende – riportate sulla rivista Architettura Cronache e Storia – della mostra organizzata dal gruppo ASeA-AUA alla Fondazione Olivetti, nella quale fu presentato il cosiddetto “Tavolo degli Orrori” composto con progetti elaborati nei Corsi del professor Muratori con chiarissimo – e ideologico – riferimento alla Seconda Esposizione dell’Architettura Razionale Italiana del 1931. Quell’occupazione e le manifestazioni ad essa collegate, aprirono un intenso e persino drammatico periodo di riforma della scuola d’Architettura. L’iniziativa del gruppo aveva dato forza a una latente insoddisfazione di parte del Consiglio di Facoltà nei riguardi dei metodi e delle concezioni didattiche di Saverio Muratori. Nei due anni successivi all’iniziativa degli studenti la Facoltà in un primo momento offrì un corso alternativo ai corsi muratoriani affidandolo – dopo una breve, ma brillante transizione affidata a Saul Greco – ad Adalberto Libera, chiamato appositamente da Firenze per insegnare a Roma. Ma pochi mesi dopo la Facoltà fece un ulteriore e più deciso balzo in avanti, rispondendo alla morte improvvisa e drammatica dello stesso Libera, con un ancora più deciso impegno riformatore che ebbe come culmine il Convegno del Roxy (novembre 1963) che celebrò il ritorno nella Facoltà di Architettura di Roma di Luigi Piccinato e Ludovico Quaroni e la chiamata di Bruno Zevi da Venezia. In tutta questa fase i componenti del gruppo ASeA-AUA furono presenti, ormai giovani docenti innovatori, in un ruolo che, per un certo tempo, parve indispensabile al nuovo assetto della Facoltà. Crediamo, dunque, che lo studio delle vicende del gruppo ASeA-AUA, possa essere una fonte importante per costruire una un’aggiornata visione critica della Storia della Facoltà di Roma – e non solo. Per questo in due numeri de “L’architettura delle città – The Journal of the Scientific Society Ludovico Quaroni” abbiamo raccolto e pubblicato documenti, progetti e memorie di quel gruppo di “antichi” giovani architetti riguardanti gli anni della loro formazione; che furono gli anni nei quali sembrò a molti italiani che si potessero realizzare le speranze di una intera generazione. (Lucio Barbera, Vieri Quilici) A cura di Lucio Barbera, Vieri Quilici, con Anna Irene Del MonacoThe AUA, Architetti Urbanisti Associati, (1961-1965), one of the Roman studios that appeared at the beginning of the 1960s with decidedly innovative intentions, was formed as an evolution of a spontaneous group of architecture students at Sapienza University who were involved both in university politics (Unione Goliardica Italiana) and in a highly critical participation in the debate on the cultural and educational directions of the Faculty. In that first phase (1958-1961) the group did not have a name and was identified simply as “the students of Via Tiepolo”, from the address of the common headquarters where, in addition to studying, drawing, designing, they made permanent the intellectual and political exchange between themselves and with many other friends and colleagues who made the frequentation of “via Tiepolo” an important complement to their training as architects. That first group – “the students of Via Tiepolo” – is today known and remembered in particular as the promoter and animator of the first spontaneous student organization of the Faculty, the Association of Students and Architects, ASeA, which was the protagonist, in the school, of the first important actions of protest and innovative cultural proposal; in fact, it is necessary to refer to the ASeA to understand the primary reasons for the associative choice made by that group of students, which soon became culturally homogeneous and cohesive, intending to develop its own action of renewal by transferring it from the university field to that of architectural and urban planning practice; which they faced by founding, then, the AUA (Associated Architects and Urbanists) as soon as the first of them graduated. The years in which the group was active and immediately showed an anti-conformist attitude, were full of events and upheavals in national and international politics and culture. Among the most significant activities of the group were: self-training and self-managed teaching for freshmen, with the aim of overcoming the silent censorship that some fundamental history and design courses of the Faculty spread on the current affairs of architecture (Modern Movement, New Brutalism, New Avant-gardes); participation in important design competitions, many of which with positive results or with prizes, such as, for example, in the competitions for the Rocca di Fano, for the restoration and reuse of the Renaissance Citadel of Parma, for the Cannaregio Hospital in Venice, for the Business Center of Turin. In parallel, the group developed a fundamental editorial activity that included participation in the series of monographs – Cappelli editions – on modern architecture in the leading countries of contemporary architecture (Great Britain, Japan, the United States, the Soviet Union, etc.) and the elaboration of essays and interventions within the architectural debate animated by the magazines “Casabella”, “L’architettura. Cronache e Storia” and others. Many, almost all the members of the group, soon began a commitment in the academic field that would lead some of them, in different phases, to be protagonists of the movement of renewal that animated the Italian Faculties of Architecture after the Sixties of the last century. At the same time, they attempted a path to the profession based on the commitment of the designers to become instigators and organizers of a collective social client to be made consciously involved in the design choices on their "inhabiting the city". A commitment that, begun in the AUA, involved many of its members for years, before and after the dissolution of the group, in close collaboration with the Lega delle Cooperative. In 1964, the year before its consensual dissolution, the AUA reached the number of 14 members: Lucio Barbera, Sergio Bracco, Sandro Calza Bini, Enrico Fattinnanzi, Massimo La Perna, Claudio Maroni, Gianfranco Moneta, Maurizio Moretti, Giorgio Piccinato, Vieri Quilici, Stefano Ray, Bernardo Rossi Doria, Manfredo Tafuri, Massimo Teodori. Three more than the 11 signatories of the ASeA Manifesto, even though only eight were signatories of the first Declaration of Intent of the AUA, entitled Architecture and Society, which established the aims, directions and methods of a renewed profession. The ASeA-AUA group was among the organizers of the first student occupation of the Faculty of Rome in 1956 to contest, together with other national universities, a law (n. 1378, 8 December 1956) which, by reintroducing state exams, allowed engineers to register with the Order of Architects, making the reverse practically impossible. The second occupation of the Faculty (December 1960), better known and documented, had the effect of a real explosion of dissent from the students who were intellectually more committed to the teaching of Saverio Muratori, dominant in the final years of the Degree Course. Also well known are the events – reported in the magazine Architettura Cronache e Storia – of the exhibition organized by the ASeA-AUA group at the Olivetti Foundation, in which the so-called “Table of Horrors” was presented, composed of projects developed in Professor Muratori’s courses with a very clear – and ideological – reference to the Second Exhibition of Italian Rational Architecture of 1931. That occupation and the demonstrations connected to it opened an intense and even dramatic period of reform of the School of Architecture. The group’s initiative had given strength to a latent dissatisfaction on the part of the Faculty Council with regard to the methods and teaching concepts of Saverio Muratori. In the two years following the students’ initiative, the Faculty initially offered an alternative course to the Muratorian courses, entrusting it – after a brief but brilliant transition entrusted to Saul Greco – to Adalberto Libera, called specifically from Florence to teach in Rome. But a few months later the Faculty made a further and more decisive leap forward, responding to the sudden and dramatic death of Libera himself, with an even more decisive commitment to reform that culminated in the Roxy Conference (November 1963) which celebrated the return to the Faculty of Architecture in Rome of Luigi Piccinato and Ludovico Quaroni and the call of Bruno Zevi from Venice. Throughout this phase the members of the ASeA-AUA group were present, now young and innovative teachers, in a role that, for a certain time, seemed indispensable to the new structure of the Faculty. We therefore believe that the study of the events of the ASeA-AUA group can be an important source for building an updated critical vision of the History of the Faculty of Rome – and not only that. For this reason, in two issues of “L’architettura delle città – The Journal of the Scientific Society Ludovico Quaroni” we have collected and published documents, projects and memories of that group of “ancient” young architects regarding the years of their training; which were the years in which it seemed to many Italians that the hopes of an entire generation could be realized. (Lucio Barbera, Vieri Quilici)
Edited by Lucio Barbera, Vieri Quilici, with Anna Irene Del Monaco -
Research and Studies 3. Among disciplines and generations
Vol. 15 No. 19 (2021)Temi di ricerca fra discipline e generazioni.
Il numero 19 de “L’Architettura delle città – The Journal of the Scientific Society Ludovico Quaroni”, il terzo della rassegna Research and Studies, raccoglie una serie di saggi e studi redatti da ricercatori di diversa età e provenienza geografica su tematiche che intersecano percorsi di studio multidisciplinari e soggetti di studio quasi inediti o poco noti fra gli studiosi di architettura.
-
Frammenti romani
Vol. 14 No. 18 (2021)Frammenti romani
Il numero 18 de “L’Architettura delle città – The Journal of the Scientific Society Ludovico Quaroni” raccoglie alcuni contributi sotto il titolo Frammenti Romani, che proseguono l’indagine su percorsi di ricerca già praticati nei numeri precedenti, proposti in forma di “frammenti”, e riguardano temi di studio sull’architettura e sulla città, che possiamo definire “romani” per l’impostazione teorico-metodologica e per la scelta del soggetto indagato. Inoltre, per scongiurare il recente allarme di Adriano Prosperi1 sulla «perdita di memoria collettiva e di ignoranza della nostra storia [poiché n]ella realtà italiana di oggi c’è un passato che sembra dimenticato. E il peso dell’oblio è qui forse più forte che altrove...», il numero include autori di diverse generazioni ed esperienze. Ciò che emerge dall’insieme dei contributi è l’incisività e l’interesse che in modi e tempi diversi lo studio della Storia dell’Architettura è in grado di attivare sugli studenti “italiani” di architettura (in questo caso specifico “romani”), al punto da rendere irrinunciabile, interpretando la realtà urbana contemporanea, prendere atto della compresenza dei fatti urbani di diverse epoche storiche, ed incoraggiare la sperimentazione, anche in presenza di essi, sul linguaggio architettonico.Ragionamenti precisi e trasversali su questo tipo di questioni emergono dalla lettura del contributo di Vittorio Franchetti Pardo, La Scuola di Roma e l’Architettura delle città, nel quale si evidenzia il ca-rattere umanistico dell’esperienza quaroniana nel quadro della Scuola Romana di Architettura, tanto da renderla riconducibile, per gli aspetti della cosiddetta scientificità, di cui oggi molto si discute, più alle scien-ze sociali che alle scienze tecniche. 1. Adriano Prosperi, Un tempo senza storia. La distruzione del passato, Einaudi, 2021. -
Alla ricerca del Continuum: Quaroni a Yazd | In Search for the Continuum: Quaroni in Yazd
Vol. 13 No. 17 (2020)Il brillio del Mediterraneo. Tornando da Tehran quella volta avevamo deciso di prendere un volo della Pan Am che ci permetteva, senza pagare una lira in più, di sostare per due giorni interi a Istanbul prima di ripartire per Roma. Il tempo sulla Turchia anatolica doveva essere davvero bruttissimo se il Jumbo, appena partito da Tehran, era stato diretto verso il Mediterraneo, che aveva raggiunto, dopo un’ora di volo, in un tratto della costa tra Antiochia e Laodicea, tra Turchia e Siria. Quando fummo avvertiti della deviazione, Quaroni aveva voluto cambiar posto e andò a sedersi accanto a un finestrino. Il grande aereo Pan Am non era certo pieno. Eravamo fuori stagione. Noi stessi stavamo godendo di un’offerta turistica da “bassa stagione”. L’hostess ci portò, non richiesta, una bottiglia di vino Shiraz, persiano, e due calici di bel vetro; il capitano dell’aereo iniziò a informarci, di tanto in tanto, sulla rotta, forse per farsi perdonare la deviazione che allungava di non poco i tempi del volo. La città di Antiochia sulla destra, ci avvertì. Ma troppo tardi. Riuscimmo però a intravedere Cipro – sì Cipro – sulla sinistra. Ludovico – così mi disse – sperava di vedere le isole e la costa frastagliata dopo Rodi; “bellissime le isole, ancora più bella la costa” affermò. Egli era della generazione per la quale quel gruppo di isole sparse tra Creta, le Cicladi e Samo – il Dodecanneso – per trent’anni era stato un bene italiano, particolarmente caro ad alcuni tra gli architetti che erano stati suoi maestri in facoltà, storici e progettisti. Rimase fisso al finestrino mentre i nomi annunciati dal capitano – Antiochia,
Laodicea, Cipro – e il primo bicchiere di Shiraz accendevano la nostra conversazione. Venivamo dalla Persia, ci eravamo incontrati a Isfahan prima di giungere a Tehran; ora volavamo sul mare greco, sulle sue antiche città, sull’isola di Afrodite – di Afrodite... vale un brindisi, Ludovico! – ed eravamo diretti a Costantinopoli per terminare il viaggio a Roma. Stavamo attraversando per intero lo spazio del mondo antico, quello spazio dove, in quel periodo, per puro caso ci incontravamo di tanto in tanto mentre ci spostavamo, ognuno secondo il proprio lavoro, tra le sue città più fatali e più belle. Il pensiero di quel mondo era decollato assieme a noi; con noi era sempre. Di quel mondo eravamo abituati a ragionare tra noi ogni volta che ci capitava di passare una sera da soli o con i nostri raffinati ospiti iraniani, passeggiando senza meta lungo i viali di platani monumentali di Tehran o sedendo nel giardino di un vecchio albergo di campagna a gustare vodka iraniana sotto il cielo luminosissimo delle notti del Fars, ai margini del deserto. Anche se non ci eravamo incontrati per molti mesi, il nostro discorso riprendeva come mai interrotto. “Ecco” mi disse Ludovico in una di quelle serate, dopo una pausa di silenzio: “quando mia moglie Gabriella mi chiede di cosa parliamo tanto a lungo tu ed io quando ci incontriamo qui in Persia, io rispondo: conversiamo... comparando... le morte stagioni e la presente e viva e il suon di lei”. E ridacchiava dentro la sua barba all’uso irriverente delle parole del grande Giacomo. Ma era vero. In quelle conversazioni ondeggianti tra il tempo antico e il tempo nostro, tra la storia e quell’istante della nostra vita che ci vedeva gettati nel cuore di un altro tempo, soltanto i nostri indumenti ci rammentavano che venivamo da un futuro che in cuor nostro non auguravamo a quei luoghi. E discorrevamo tra noi e con i nostri amici persiani come viaggiatori senza tempo, comparando davvero le città delle nostre tante modernità, morte o declinanti, all’antichità presente e viva della Persia attuale. Fu in queste conversazioni che compresi quanto in Ludovico la visione della città futura fosse legata alla trasfigurazione della città antica come se per disegnare finalmente un mondo nuovo degno del grande passato della nostra storia occorresse cancellare e dimenticare tutti i modelli di modernità tentati in Occidente e sempre universalmente imposti, sovrapponendoli l’uno a l’altro, in tutta la loro monumentale, meccanica arcaicità; in tutti i loro fallimenti. In lui era sempre presente la formazione culturale di una generazione italiana che non aveva potuto fare a meno di confrontarsi – anche solo per confutarlo – con il Futurismo originario, quello di Marinetti l’Egiziano, che cercava energia vitale nella tecnologia e nella forza nativa – persino belluina – del passato: per distruggere l’Occidente. -
Sixteen Commentaries on LOVE versus HOPE by Daniel Solomon
Vol. 12 No. 16 (2020)Late in life, architects seem more prone than other people to a particular form of compulsive disorder: the neurotic need to write a book. And not just a book, but The Book, the final book that explains everything, the validation of a lifework. How, after all, will the world get on with things unless they know what I know? It is an obligation – the polemical/memoir/monograph – that summarizes the thoughts and works of a lifetime. At home I have a special shelf for such books, mostly written by friends or colleagues in their late seventies or later. Some of these volumes contain interesting ideas, most contain beautiful or at least worthwhile projects. But with very few exceptions, they are awful books. For whatever cathartic, or therapeutic service they may be to the authors, most of them are terrible to read.Often these books are only half-hearted attempts to enter the great library of the world’s ideas. The real motivation is just to make a book – a bunch of pages with a book cover and a binding, a title and the author’s name. The existence of the artifact is the main thing; whether anybody buys it, reads it, let alone likes it, are secondary matters. If one succeeds in making a book, it goes on bookshelves next to all the other books, all the other books, including the great ones. You don’t have to write a great book to be on the shelf with great ones – just a book. From a distance they all look pretty much the same. And all the authors are authors. Everybody knows the game, accepts it for what it is, and doesn’t read too critically. If things go well, there is even a cocktail party or two to celebrate the author. -
Musica e Architettura. Invenzione di spazi, ritmi e suoni Un miracolo romano: l'Auditorium al Parco della Musica
Vol. 11 No. 15 (2019)Lucio Valerio Barbera, Giorgio Nottoli Musica e architettura: la collaborazione fra due istituzioni romane. Fra il 2010 e il 2011 la Facoltà di Architettura della Sapienza ed il Conservatorio di Santa Cecilia si impegnarono in una vasta esplorazione dei rapporti, storici e soprattutto attuali, tra la musica e l’architettura, le due discipline che danno voce e volto alla città degli uomini. Quella esplorazione, della cui direzione fu incaricato Giorgio Nottoli, per il Conservatorio di Santa Cecilia e Lucio Barbera per la Facoltà di Architettura, culminò con la partecipazione della nostra Facoltà al Festival Internazionale di Musica Elettronica di Roma (noto con l’acronimo Emufest) negli anni 2011 e 2012. L’amplissimo tema dei rapporti tra musica e architettura fu presentato e discusso nella nostra Aula Magna di Valle Giulia e in quella di Piazza Borghese, oltre che nell’Aula Magna del Conservatorio. Le due grandi istituzioni romane, la Sapienza e Santa Cecilia, sembrarono voler mettere in scena di nuovo l’antico dramma nel quale la Musica e l’Architettura pur abbracciate si fronteggiano, sorelle ambigue, unite dalla comune illusione della natura proporzionale della bellezza, divise dall’insuperabile diversità delle loro materie, il tempo e lo spazio a loro volta misteriosamente congiunti nell’identità del reale.
-
2019: L'ADC UNESCO-Chair "Sustainable Urban Quality" Series #6 Transitions. Rural Industrial Urban
Vol. 6 No. 1 (2019)The Feltre-Belluno valley – “Valbelluna” in Italian (FEBEL here, for our initiative) – is part of the province of Belluno, one of the seven provinces of Veneto, the largest of these. The territory of the Province is almost all included in the Piave river basin. The river reaches the Adriatic Sea near Venice and has been the steadiest and oldest link in the Belluno area with the Republic of Venice. The river waters were in fact used to transport the magnificent trunks of beeches, firs and larches that populated – and still populate – the Dolomites, to the Arsenal of Venice, the splendid mountains that make the province of Belluno an alpine area of great environmental and cultural value.
La valle di Feltre-Belluno – “Valbelluna” in italiano, (FEBEL per la nostra iniziativa) – fa parte della provincia di Belluno, una delle sette province del Veneto, la più grande tra queste. Il territorio della Provincia è quasi tutto compreso nel bacino idrico del fiume Piave. Il fiume raggiunge il mare Adriatico vicino a Venezia ed è stato il collegamento più saldo e più antico del territorio bellunese con la Repubblica di Venezia. Le acque fluviali furono infatti utilizzate per trasportare nell’Arsenale di Venezia i magnifici tronchi di faggi, abeti e larici che popolavano – e tuttora popolano – le Dolomiti, le splendide montagne che fanno della provincia di Belluno un’area alpina di grandissimo valore ambientale e culturale.
-
Roma. Ancora Capitale d'Italia? / Rome. Still the Capital of Italy?
Vol. 10 No. 14 (2019)La sorte di Roma, Capitale laica, grande città moderna, già da alcuni decenni sembra uscita dall’attenzione del governo centrale, per la cui istituzione essa tuttavia fu ideata. La coscienza civica delle popolazioni italiane pare ne abbia già espulsa l’immagine da ogni possibile disegno di migliore futuro. È, dunque, il tempo di discutere apertamente sul ruolo di Roma nei prossimi decenni, o nel prossimo secolo se ne abbiamo la temerarietà. Un po’ di freddezza “accademica” farà superare i veli del coinvolgimento politico e culturale. Forse ormai il problema non è quello del destino di Roma Capitale dello Stato, ma dello Stato unitario come lo conosciamo. Sembra quasi che i due progetti di Cavour “prima il Regno d’Italia del Nord, e poi quello unitario, Nord e Sud insieme “siano di nuovo in alternativa fra loro. Oggi il progetto del Nord pare spingersi verso una qualche realizzazione e il Sud sembra rivelare un’identità politica separata più di quanto si sia a lungo sperato. Saranno costretti, Nord e Sud, nel loro stesso interesse, a parlarsi “come già fanno” a trovare un accordo, a misurare la distanza possibile tra loro, a calcolarne costi e benefici. E nello iato tra le due Italie si accentuerà l’isolamento di Roma. Anzi, la sua inerme solitudine.
The fate of Rome, a secular capital, a large modern city, seems to have come out from the attention of the central government for some decades, but it was conceived for its establishment. The civic conscience of the Italian populations seems to have already expelled the image from every possible design of a better future. It is therefore time to openly discuss the role of Rome in the coming decades, or in the next century if we have the temerity. A bit of “academic” coldness will overcome the veils of political and cultural involvement. Perhaps now the problem is not that of the destiny of Rome, the capital of the state, but of the unitary state as we know it. It almost seems that Cavour’s two projects “first the Kingdom of Northern Italy, and then the unitary one, North and South together” are again an alternative to each other. Today the Northern project seems to be moving towards some realization and the South seems to reveal a separate political identity more than has long been hoped for. North and South will be forced, in their own interest, to talk to each other “as they already do” to find an agreement, to measure the possible distance between them, to calculate their costs and benefits. And in the gap between the two Italys the isolation of Rome will be accentuated. Indeed, his helpless solitude.
Lucio Valerio Barbera, Vieri Quilici
-
Researches and Studies 2
Vol. 9 No. 12-13 (2018)Come il precedente (L'ADC n. 11), anche questo numero doppio (L'ADC n. 12-13) raccoglie scritti inediti di diverso argomento e di diversi autori, sul grande e articolatissimo tema della città, del suo progetto, della sua architettura. I saggi pubblicati rappresentano itinerari di ricerca in corso; si tratta allora di parziali rapporti di ricerca, o da poco conclusi, inediti. Alcuni sono il prodotto della ricerca di giovani e studiosi architetti, sviluppati sulla radice delle proprie Tesi di Dottorato o di Laurea; altri rappresentano il frutto, finale o intermedio, di indagini filologiche e storiche, altri infine ci presentano le riflessioni e gli approfondimenti indotti da un viaggio di studi. Gli autori, anche questa volta, sono tutti architetti, appartenenti a generazioni ed a culture diverse.
Il primo saggio “trascrizione dal vivo di una conversazione sull'argomento Tipologia e Forma. Da Mies van der Rohe (Weissenhof) agli architetti di Ostia antica (Case a Giardino), di Lucio Valerio Barbera documenta, pur sempre provvisoriamente, una ricerca di lungo periodo dell'autore, presentata nei suoi diversi stadi, in lezioni universitarie (master e dottorato) o conferenze, spesso in università non italiane. La versione qui presentata è la più aggiornata, tuttavia provvisoria, ma ampiamente illustrata anche con elaborati digitali 3D disegnati dell'autore stesso. Il tema di fondo è la permanenza dei comportamenti “antropologici“ di generazione continua e "spontanea" di varianti tipologiche dal materiale edilizio pre-esistente che, nel tempo, modificano la città al variare delle condizioni culturali e tecnologiche. Su questo tema si innesta un secondo tema, quello del ruolo dell'architetto cui è affidato l'atto consapevole di estrarre dal tessuto "naturale" della città le innovazioni tipologiche più efficienti, di normarle e portarle a compimento come modelli progettuali tendenzialmente "universali".
Il secondo scritto di William Simbieda, professore alla Cal Poly San Luis, qui presentato come secondo "step" aggiornato, di un primo saggio pubblicato sulla rivista Focus 12, è un interessante documento di indagine antropologica, sociologica e urbana dalla quale emerge la irrinunciabile funzione delle tradizioni, dei simboli, dell'essenza ancestrale rappresentati nel Jizo, per dare senso, significato, completezza spirituale agli spazi pubblici e di vita della città orientale contemporanea, in particolare di Tokyo.
Seguono alcuni scritti che rappresentano: sintesi dalle tesi di dottorato, rispettivamente, The Monadnock Building, Un edificio-manifesto nel crocevia di sperimentazioni tecniche e costruttive di Valentino Danilo Matteis (XXX ciclo), La Città del Sapere: l'Istituto di Botanica di Giuseppe Capponi presentato da Teresa Rossini (XXXII ciclo), e Informal Housing in Shanghai di Jiahui Diao (dottorando della Shanghai Jiaotong University); le rielaborazioni ed alcuni approfondimenti progettuali e di ricerca sviluppati durante l'elaborazione della tesi di laurea come Oltre il prototipo nulla. Evoluzioni e fallimenti nella prefabbricazione modulare di Matteo D'Emilio (XXXII ciclo) e Vestmann di Andrew Iacobucci (architetto e artista).
Teresa Pagano (XXXIV ciclo) con lo scritto Il Modello BIM: una copia reale del progetto, mette a punto alcune analisi avviate a partire da corsi post-laurea, e approfondite in seminari di studio del dottorato di ricerca condivisi con il collegio docenti del dottorato DRACo, in Architettura e Costruzione della Sapienza Università di Roma.
Doaa Fihri Fassi, studentessa marocchina Erasmus alla Sapienza Università di Roma, con Architecture in the hands of amateurs, Can architecture be governed by and for society e Ricardo Magnani Garsia, studente Erasmus brasiliano alla Sapienza Università di Roma, con Parametricism ups and downs, rielaborano una sintesi del lavoro svolto nel corso Theory of the Contemporary Research in Architecture tenuto da Anna Irene Del Monaco nell'a.a. 2018-2019, nel quale si propose come tema seminariale d'anno il tema: The impact of low cost technology in the ordinary architecture.
Il contributo di Anna Irene Del Monaco Design of Cities at the time of resilience and climate change. Experiments in Rome and Puerto Rico looking at Africa, fa il punto su alcune esperienze progettuali e didattiche sviluppate in paesi profondamente diversi, dimostrano la trasferibilità dei risultati ottenuti oggi nel progetto di architettura fra contesti diversi.
Infine, la ricerca di Dina Nencini sugli edifici destinati alla funzione carceraria, già sviluppata dall'autrice per la presentazione di una domanda ERC Consolidator nel 2013, documenta l'interesse per un tema complesso e difficile, che la studiosa intende sviluppare con un obiettivo doppio: censire i casi problematici e i casi di successo, in Italia e nel mondo, ed indagare gli standard di abitabilità delle celle e degli spazi comuni per migliorare le strutture carcerarie nuove ed esistenti, tenendo sullo sfondo la lezione di Giorgio Agamben che si domanda se sia possibile per l'architetto progettare l'inabitabile. L'indagine si inquadra nel più ampio tema contemporaneo rivolto al patrimonio edilizio esistente, soprattutto quello le cui tipologie sono state destinate a funzioni specialistiche e che oggi affrontano condizioni di obsolescenza e dunque la necessità di essere "ripensati", "reinventati".
-
L'ADC UNESCO-Chair "Sustainable Urban Quality" Series#5 (eng) Mountainous Human Settlements in Guizhou
2018The research presented in this book examines Guizhou ethnic minority settlements located in the eastern part of Yunnan-Guizhou Plateau, in the southwest of China. The specificity and the relevance of these settlements, therefore, refers to a combination of anthropological, architectural, environmental issues. Guizhou is a province of ethnic groups since thousands of years engaged in farming or semi-nomadic production. These ethnic minority settlements were self-contained and balanced communities which gradually developed their own specific and unique culture of farming, settling and inhabiting. As many precious and valuable historical human settlements still standing around the world, whose architecture and urban features are not easily replicable for culture, skills, social and economic conditions, the Guizhou ethnic minority settlements are tangible architectural heritage including intangible values experiencing high risks due to their unavoidable physical decay, demography, urban development pressure.
Zhou Zhengxu grew up as a early-stage scholar in a very unique and outstanding academic environment, the Institute of Architectural and Urban studies of Tsinghua University, founded and raised by prof. Wu Liangyong, the most eminent living Chinese modern architect and scholar, gathering the most competitive scholars in the field of urban design and planning of China.
Contents
Foreword by Anna Irene Del Monaco
The endless and essential lesson from historical human settlementsChapter 1
A Review on Settlement and Architecture of Guizhou Mountainous Minority Groups
1.1 Review on Major Study Stages
1.2 Dwellings and settlements: two major research topics
1.3 Multidisciplinary Research on settlements
1.4 Reflections and attempts on the development of settlements of minority groups
1.5 Summary
ReferenceChapter 2
Discussion on the Object, Method and Key Issues2.1 Introduction
2.2 Sorting out entirety: what is the holistic space of the mountainous minority settlements in Guizhou?
2.3 Formation Exploration: temptation to reconstruct the history of the formation and evolution of settlements
2.4 Problem Consciousness: The constant focus on the core problems in construction of settlements in historical situation
2.5 Conclusion
ReferenceChapter 3
Case of Buyi Settlements in Baishui Valley, Biandan - Mountain Area3.1 Introduction
3.2 Prerequisites: huge survival pressure
3.3 Formation: settlement space in response to survival pressure
3.4 Evolution: the development and adjustment of settlement space
3.5 Conclusion
ReferenceChapter 4
Case of Miao Settlements in Taoyao Valley, Leigong - Mountain Area4.1 Introduction
4.2 Migration and settling down
4.3 Construction of Settlement Space corresponding to the livelihood mode of the mountainous rice-cultivation agriculture
4.3 Miao ethnic group settlements in the Taoyao River basin
4.4 Conclusions and Discussion
ReferenceChapter 5
Case of Dong Settlements in Duliu Valley, South - Dong Area5.1 Introduction
5.2 Survival, Migration, and Site Selection
5.3 River Valley Plain Settlements: Establishment of the Basic Pattern of mountain-water-paddy field woods-village
5.4 Mountain valley flat and mountainside slope settlements: transformation, shifting, and optimization of the basic pattern
5.5 Research Results and Discussion
ReferenceAfterword by Anna Irene Del Monaco
Post-rural south. Countryside s.h.i.f.t. [Silicon. Heritage. Immigration. Food. Transports]. A brief research proposal for Southern Italy. -
Researches and Studies 1
Vol. 8 No. 11 (2017)Questo numero raccoglie scritti inediti di diverso argomento e di diversi autori. Gli autori, tutti architetti, appartengono a generazioni e a culture anche molto distanti tra loro. Ciò che li unisce è entire ed essere partecipi, tutti, ciascuno con il suo ruolo e la sua diversa "professione“ del grande e articolatissimo tema della città, del suo progetto, della sua architettura. Gli scritti che presentiamo in queste pagine, diversissimi tra loro, tuttavia sono il frutto di ricerche, riflessioni, proposte “in corso o da poco concluse“ mai pubblicate. La loro raccolta in un unico numero della nostra rivista ha lo scopo di contribuire ad animare e ad aggiornare lo stato della discussione “anzi, delle discussioni“ sul problema del ruolo dell'architettura e dell'architetto nel nostro tempo; che è tempo di reale difficoltà e di profonde disaffezioni.
Nel primo scritto Wu Liangyong. An interview by Lucio Valerio Barbera è firmato da Wu Liangyong, il più importante architetto moderno cinese vivente, il Maestro Wu, fondatore della Facoltà di Architettura della Tsinghua University di Pechino, ricompone la sua vicenda biografica e, per mezzo di essa, indirettamente, la vicenda fondazione della scuola di architettura moderna in Cina. Attraverso il suo itinerario di formazione, che si svolge prima, durante e dopo la rivoluzione di Mao Tse Dung, iniziando dal momento fondativo del Department of Architecture della Tsinghua University, proseguendo con il periodo di formazione professionale e accademica negli USA, passando per il momento del passaggio di consegne ricevute da Liang Sicheng, il fondatore dell'architettura moderna in Cina, viviamo dalle sue stesse parole la fase di avviamento e di costruzione di un nuovo sistema culturale ed istituzionale. Il contributo, trascritto a partire da una intervista condotta da Lucio Barbera nel novembre del 2017, èeso dall'autore in forma di narrazione autobiografica strutturato per fasi cronologiche.
Segue la pubblicazione inedita di un'indagine di Lucio Valerio Barbera sulla genesi del quartiere Prati delle Vittorie a partire dalla vicenda della progettazione e della realizzazione del Deposito Atac di Piazza Bainsizza inteso come nodo funzionale essenziale della rete di trasporto pubblico che sostenne lo sviluppo di Roma nella sua fase di più razionale crescita funzionale, civile, demografica. Il rapporto di ricerca su Il deposito Vittoria dell'Atac a Piazza Bainsizza nel Quartiere Delle Vittorie di Roma studia e presenta, infatti, quella ormai semi-utilizzata struttura del trasporto pubblico come parte integrante del più riuscito esperimento di architettura urbana a Roma tra le due guerre, voluto e messo a punto da Marcello Piacentini e Gustavo Giovannoni. In questo quadro emerge il ruolo, apparentemente più sommesso, in realtà decisivo, svolto dal programma per la realizzazione di un adeguato sistema cittadino di trasporto pubblico.
Il testo di Giancarlo Ferulano, L'architetto nell'amministrazione pubblica, è la testimonianza importante e analitica dell'esperienza di un vero architetto come "quadro" della pubblica amministrazione di una grande città come Napoli con compiti di grande responsabilità nei processi di pianificazione e di gestione della città. L'analisi proposta da Ferulano si svolge nell'arco di circa un ventennio (anni Settanta-Novanta) della storia urbana di Napoli, città complessa e, per molti aspetti, estrema.
Il contributo di Iacopo Benincampi, La condizione post-barocca, agile, ma densissimo, saggio prettamente storico, esplora questioni che sembrano tuttavia parlare direttamente della attuale condizione dell'architetto. Egli così scrive della condizione dell'uomo post-barocco: "continuamente e complessivamente sempre in bilico fra antichi reclami di universalismo e il provincialismo del proprio status quo, raziocinante ed emotivo, idealista e opportunista, ambizioso di stare più avanti del proprio tempo seppure, in verità, nessuno poteva anticipare il futuro, perchè nessuno lo conosceva".
La proposta di ricerca di Lucio Valerio Barbera, Digital Nolli: 3D representation (digital model) of Gianbattista Nolli's Map of Rome "La Nuova Topografia di Roma" (1748), si rivolge all'ampissima platea internazionale interessata a quell'incomparabile monumento di scientifica rappresentazione urbana, per coinvolgere istituzioni pubbliche e private nel progetto di costruire "per mezzo della tecnologia informatica “la realtà virtuale, accurata in profondità ed esplorabile a diverse scale, del corpo "sensuale" di Roma all'apice del suo sviluppo rinascimentale e post rinascimentale.
Lo studio di Anna Irene Del Monaco sugli architetti europei nel Mediterraneo allargato, European Architects in Africa, in the Near and Middle East, from 1947 to the end of the twentieth century. Legacy and future perspectives, apre un punto di vista inedito su quegli anni di pratica professionale, in particolare dagli anni Cinquanta-Settanta, nei quali ad esempio, i modelli architettonici italiani, le idee italiane di città, le concezioni strutturali italiane attraversavano il Mediterraneo sospinti dalle positive visioni di politica internazionale del secondo dopoguerra, sostenute da Stati illuminati sulle due sponde del mare. Si tratta di un'eredità che deve essere riletta in modo più articolato e complessivo: non si tratta di ripercorrere le vicende di architetti di merito e di fortuna personali. Si tratta, invece, di mettere in luce il tessuto di soggetti pubblici e privati impegnati in azioni promosse per attuare il passaggio e l'adattamento di più efficienti modelli di civiltà tecnologica e di più umanistica cultura progettuale (Transnational Urbanism, lo chiamano alcuni studiosi) investendo nel futuro di nazioni più svantaggiate e creando, allo stesso tempo, lavoro per i propri tecnici e operatori culturali.
-
L'ADC Monograph Series#4 (ita): Osservazioni sulle Corrispondenze fra la composizione in Musica e in Architettura
2017lineamenti per un progetto didattico
Se indagate contemporaneamente allo specchio musica e architettura permettono di rilevare e discernere questioni che solitamente sollecitano la ricerca di analogie, similitudini, comparazioni, cercando le quali si finisce per imbattersi per lo più in significative e insuperabili differenze.
Dalle osservazioni sulle corrispondenze fra la composizione in musica e in architettura, soprattutto sul senso dell’esecuzione, sulle potenzialità espressive degli strumenti, sulla sperimentazione relativa ai materiali, sull’affinamento dei linguaggi – ricorrendo anche ad inevitabili forzature –, possono emergere punti di vista inediti, ma significativi per riconsiderare il percorso che l’evoluzione dell’espressività ha compiuto nei rispettivi ambiti di interesse.
In particolare, ci sembra interessante approfondire il rapporto strumento-linguaggio – intesi in senso strutturale – con l’intento di cartografare percorsi interpretativi rivolti al futuro, che superino i luoghi comuni, gli stereotipi attorno all’idea di stile ideologicamente intesi e più o meno storiograficamente radicati. Ed esplorare, da un lato quanto gli strumenti, perfino più dell’invenzione artistica, abbiano condizionato e indirizzato l’evoluzione del linguaggio. E, di contro, quanto la ricerca attorno al linguaggio abbia sollecitato le trasformazioni ed il perfezionamento degli strumenti. -
L'ADC UNESCO-Chair "Sustainable Urban Quality" Series#2 (eng) - Hangzhou
2017Title: Hangzhou: from Song Dynasty Capital to the Challenge of Cultural Capital in Contemporary China
-
Public Space and an Interdisciplinary Approach to Design (eng)
Vol. 7 No. 10 (2017)The crisis of contemporary public space is a question of interest to all architects.
The economic, social and cultural crisis, in particular affecting the entire European continent, is clearly and originally reflected in the public spaces of our cities, more and more of which are now considered "heritage". Beyond the phenomenon of "non-places" - always the work of the private sector - and considering the contraction in public spending and proposals, of interest here is the investigation of the growing number of manifestations of the bottom-up generation/transformation of public space. This approach clearly exposes the new demands related to uses and forms, but above all the crisis of architectural culture when speaking of its design. They include the reappropriation, by society, of abandoned spaces; the ecological/agricultural use of residual areas; the spontaneous configuration of undesigned, temporary and anonymous public spaces; phenomena of public art and urban activism that are often the result of the geolocalised network. Public space and the public realm, due to their original facets, are once again a theme of interest for architects, but also for philosophers, sociologist and anthropologists (J. Habermas, D. Innerarity, Z. Bauman, M. Augé), as complex "spaces" to be decomposed. Hence, a few questions: Does the analysis of public space and an approach to design, in a reality that considers a different concept of "public" than that of the past century comport a new way of looking? A new urban-architectural nomenclature? An interdisciplinary approach to design? -
Spazio pubblico e approccio interdisciplinare al progetto
Vol. 7 No. 10 (2017)Nel 1953 ad Aix-en-Provence, e poi a Dubrovnik (1956) fino all’epilogo di Otterlo (1959), la generazione più giovane associata ai CIAM inizia a mettere in discussione le categorie funzionaliste della Carta di Atene a partire dal delicato tema dello spazio pubblico. Nonostante le correzioni di rotta della “vecchia guardia”, per superare l’astrattismo della città funzionale, il Team 10 (in particolare con gli Smithson e van Eyck) espone un ambiente urbano più adatto alle necessità emotive e materiali dell’uomo, invocando un modello spaziale complesso con più relazioni tra forme architettoniche e bisogni socio-psicologici dell’utenza.
l pluralismo disciplinare nell’approccio del Team 10 emergerà poi soprattutto nel lavoro di van Eyck, che è interamente dedicato alla ricerca di forme adeguate ai luoghi, attraverso una ”esperienza antropologica”. Aldo van Eyck intervenendo al CIAM di Otterlo (1959): “L’uomo è sempre e dovunque essenzialmente il medesimo. Egli ha la stessa attrezzatura mentale anche se la usa diversamente secondo il suo ambiente culturale e sociale, secondo il particolare modello di vita di cui gli accade di far parte. Gli architetti moderni hanno talmente insistito su ciò che nel nostro tempo è diverso, da avere perduto il contatto con ciò che di diverso non è, con ciò che è sempre essenzialmente identico”. Nel 1998 Rem Koolhaas dà vita ad AMO, l’altra faccia dell’Office for Metropolitan Architecture, un laboratorio di ricerca multidisciplinare che opera al di là dei confini tradizionali dell’architettura per “fertilizzarla”. Il suo think tank è sostanzialmente uno strumento per capire le dinamiche della società contemporanea, del nuovo “pubblico”, nella convinzione che la bigness ha definitivamente rotto con le regole funzionaliste della modernità. Emerge una certa multidisciplinarietà nel lavoro di Koolhaas, il quale attribuisce alla figura dell’architettoilruolodi “mediatore”,dovendo interagire con esperti di discipline differenti ma complementari nel campo della progettazione. In più occasioni, l’architetto olandese, ha illustrato il complesso rapporto tra democrazia e architettura rappresentando l’evoluzione del concetto di “potere pubblico” dal dopoguerra. Se escludiamo le ville, gli edifici delle società private e le passerelle per Prada, la quasi totalità della produzione di OMA-AMO si misura, alle varie scale, con lo spazio pubblico contemporaneo. Nel 2014 il Museo Nazionale Centro di Arte Reina Sofía di Madrid organizza una importante mostra dal titolo Playgrounds. Reinventing the Square riportando alla luce la strategia del playground come interazione “spazio pubblico-abitanti”, in una dimensione collettiva e condivisa. In mostra le utopie e le realtà progettuali della seconda metà del ‘900, tra questi i progetti di Aldo van Eyck che durante i “trenta gloriosi” disegna centinaia di playgrounds pubblici ad Amsterdam, una città distrutta dalla guerra, riuscendo a riportare vita e qualità per le sue strade.Autore (a cura di): Ettore Vadini
ISBN: 9788868129958 -
L'ADC Monograph Series#3 (ita): Modernità Postantica. La Palazzina Furmanik di Mario De Renzi
2016Il Medianum della Casa di Giove e Ganimede (II sec. d.C.), tornato ad una concezione introversa della dimora, diventa per l'architetto adrianeo che ne fu autore uno spazio difficile e nuovo, da indagare progettualmente perchè non canonico “come era invece l'atrio della Domus classica. Ne nasce uno spazio impuro e ambiguo, affascinante per un architetto davvero moderno come Mario De Renzi. Egli, basando il progetto Furmanik sui principi del Medianum si trova in una condizione altrettanto, se non più¹ difficile di quella dell'architetto della Casa di Giove e Ganimede. Il modo di vivere moderno non sopporta" la scarsità di luce di molti spazi d'uso della dimora antica. Dividendo il Medianum in due parti, in quella esterna De Renzi raggiunge agevolmente l'obbiettivo di ricreare lo spazio unificato, indifferenziato e luminoso suggerito dalla case a Medianum. Ma egli comprende che alla parte più¹ interna del suo Medianum è affidata la maggiore innovazione, quella di trasformare il cosiddetto "connettivo di servizio" dell'abitazione razionale nello spazio fondamentale per la vita interiore del nucleo famigliare. Per questo ne elabora due varianti: la prima ancora troppo soggetta ai vincoli della divisione delle funzioni e dei percorsi, la seconda (forse progettata per prima) dilatata e coinvolgente in profondità ogni spazio vitale dell'abitazione. Quasi dieci anni dopo l'esperienza della Furmanik, nel 1947, De Renzi affronta di nuovo il tema dell'alloggio signorile con un progetto non realizzato a Roma, in Via Martelli. Si tratta di una palazzina classica, quattro piani più¹ attico arretrato, ma con un solo appartamento a piano. Mario De Renzi sembra ricominciare dove aveva lasciato il progetto Furmanik; si applica con grande determinazione alla ricerca sullo spazio interiore della casa, la parte interna del suo Medianum, non risolta perfettamente nel progetto Furmanik.
-
The Architecture of the foundation cities - 1
Vol. 5 No. 8 (2016)The idea of the˜foundation city belongs to a field of study that is practically unlimited in scale, and which ranges from the origins of urban civilisation to classical times, through the Medieval and the Renaissance to the present day. The field involves several different disciplines, from political and social history to archaeology, anthropology and in some cases even astrology. The idea of the foundation city is in direct contrast with that of the ideal city which has a specific association with the concept of utopia.
In practical terms, the foundation of a city represents a discontinuity (known as a catastrophe in philosophy) with respect to the constant progressive transformation of settlements. In ancient times city-foundation was bound up with the myth of a founder-progenitor of a settled community, while in more recent historical contexts, cities were founded for reasons of necessity, following a natural disaster or due to economic or political upheavals. During the 20th century there were radical changes in the relationship between city and territory, along lines that responded to various objectives, where foundation cities became true driving forces for growth. One only needs to think of the changes that took place in territories colonised by Europeans, and in the thirties, the internal colonisation of North America or the socio-economic planning of the Soviet Union, let alone the wholesale reclamation of the Pontine marshes by the Fascists in Italy.
What is different about the idea in modern times is the importance that is given to the authorship aspect of the foundation city, which bestows a prevalent architectural form on the new spatial organisation of the city.
We need therefore to address the question of whether the formal specifics of the foundation city are such as to make them enduringly recognisable and interpretable according to their original meaning outside the actual act of foundation, in the subsequent phases of their growth and transformation.Il tema della Città di fondazione rientra in un campo di studi di dimensione pressoché illimitata, che in Antico va dalle origini della civiltà urbana all'età classica e medievale e in epoca storicagiunge al Moderno. Si tratta di studi che appartengono a diverse discipline, dalla storia politico-sociale all'archeologia, all'antropologia e per certi aspetti persino all'astrologia. Lungo tale intervallo di tempo il tema si confronta con quello della Città ideale che possiede tuttavia distinte specificità , riconducibile alla sfera utopico-poetica. Se è¨ vero comunque che la fondazione di una città costituisce sempre un momento di discontinuità (filosoficamente una catastrofe) nel flusso continuo delle trasformazioni insediative, si tratta allora di individuarne le ragioni. In Antico la fondazione si confonde con il mito del fondatore-capostipite di una comunità insediata, in epoca storica le ragioni si riconducono sempre ad uno stato di necessità, dovuto vuoi a calamità naturali, vuoi a trasformazioni sopravvenute nel sistema economico-politico. Ciò che invece distingue il fenomeno in età moderna è¨ la decisione di dar vita in forma di Città ad una nuova organizzazione socio-spaziale, ed in essa si individua sempre l'aspetto autoriale dell'operazione fondativa. Le ragioni sono più precise e si traducono direttamente in modelli rispondenti ad obiettivi rispetto ai quali la città diventa il vero e proprio motore della trasformazione. In architettura si tratta di rispondere al quesito se esiste una specificità formale delle città di fondazione, ovvero simbologie e caratteri specifici dell'organizzazione spaziale che le rendano riconoscibili anche oltre l'atto fondativo. Nel passaggio tra XIX e XX secolo si sono avute radicali trasformazioni nel rapporto tra città e territorio e contemporaneamente ri-organizzazioni strutturali delle città capitali. Le trasformazioni hanno riguardato i territori oggetto della colonizzazione europea e negli Anni Trenta della colonizzazione interna nord-americana come della pianificazione economico-sociale sovietica e della bonifica integrale del territorio pontino ad opera del fascismo italiano.
-
L'ADC UNESCO-Chair "Sustainable Urban Quality" Series#3 (eng): Urban Waterways
2016Urban Waterways: Evolving Paradigms for Hydro-based Urbanisms
The book investigates the environmental, cultural, and economic future of cities on the water in the 21st century. Collected here are urban projects across the globe from 15 cities on 5 continents representing not only the complexities of urban life in the face of environmental concerns, global economic shifts, waste and energy management, and post-industrial legacies but also new thinking and practices that are emerging from a reconsideration of the value of hydro-based urbanism through a recalibration of our settlement patterns. Contexts range from coastal cities to cities associated with river, lake and wetlands ecologies and offer strategies from retrofitting and recovery to imagining new cities on the water.
Although each of these urban projects proposes site specific responses that are locally relevant and respond to the city’s distinctive landscapes, they are also linked through their reconceptualization of a land and water dialogue and in the manner in which they tap into the broader spectrum of what portunism that suggests alternative directions and visions for our urban futures. The congress was held in Durban South Africa.
-
Orders in Architecture. Vitruvius's Migration (eng)
Vol. 4 No. 7 (2015)Author (edited by): Ludovico Micara
After the L'ADC n.6/2015 "ORDERS IN ARCHITECTURE. Do Architectural Forms Have a Meaning?" L'ADC launches a second call for papers on the issue ORDERS IN ARCHITECTURE. Vitruvius' Migrations edited by Ludovico Micara.
-
Gli Ordini in architettura. Le forme architettoniche significano? (ita)
Vol. 3 No. 6 (2015)ORDERS IN ARCHITECTURE. Do Architectural Forms Have a Meaning?
The issue of the "orders" in architecture covers an extremely vast field of theories, studies and design experiences that have all been developed in the framework of the architectural thinking of the Western tradition.
The classical architectural orders established a stylistic canon, a code, and a language as well, in order for architectures to speak, to transmit and to signify.
Generally speaking, the core issue is the creation of meanings through architecture.
In this view, a major vehicle of sense has not just been the experience of architectural orders, but rather their transgression, their variation, up to the extreme end of disorder. Following Ludovico Quaroni, “The Greeks, the Etruscans, the Romans, the architects of the Romanesque, Renaissance, Baroque, Classicism made use of the orders to design as many architectures, and these were different, and even opposite one versus the other”….“The orders were only components of the architectural design, that is, elements drawn from manuals that could be used and transformed in relation to the various syntactic contexts”1.
The issue of the architectural orders is therefore a partial answer to a broader question, skilfully phrased in 1886 by the twenty-two years old Heinrich Wölfflin in the introduction to Prolegomena zu einer Psychologie der Architektur2, his inaugural dissertation at the Faculty of Philosophy of Munich University: “How it is possible that architectural forms are an expression of soul, of a Stimmungâ€?
Therefore, the question is: is it still possible today to refer to the communicative resources of the architectural orders for creating meanings through architecture?1 L. Quaroni, Progettare un edificio. Otto lezioni di architettura, Gabriele Mazzotta editore, Milano 1977, p. 215.
2 H. Wölfflin, Prolegomena zu einer Psychologie der Architektur, 1886. French edition: Wölfflin, Prolégomènes à une psychologie de l’architecture, introduction by Bruno Queysanne, Editions Carré, 1996.
GLI ORDINI IN ARCHITETTURA. Le forme architettoniche significano?Il tema degli "œordini" in architettura copre un campo vastissimo di teorie, studi ed esperienze progettuali, declinate prevalentemente nel pensiero architettonico della tradizione occidentale.
Ma gli ordini architettonici classici hanno costituito anche un canone, un codice e un linguaggio perché l’architettura parlasse, si trasmettesse e producesse significati.Quello che qui veramente interessa è la ricerca di produzione di significato attraverso l’architettura.
In questo senso gli ordini, ma soprattutto la loro trasgressione o variazione, sono state uno strumento fondamentale. Cito Ludovico Quaroni: “Gli ordini sono serviti ai Greci, agli Etruschi, ai Romani, ai romanici, agli architetti del Rinascimento, del barocco, del classicismo per fare altrettante architetture, una diversa dall’altra, una in opposizione, spesso, all’altra”. E ancora: gli ordini “erano solo ‘componenti’ delle progettazione, cioè elementi che si prendevano pari pari dal manuale per usarli poi in modo del tutto libero, in quei contesti sintattici, di cui i manuali non hanno mai parlato, ovvero erano elementi che si prendevano per lavorarci sopra e trasformarli così in una cosa diversa da quella che ‘insegnava’ il manuale”1.
Il tema degli “ordini” quindi è una risposta parziale ad una domanda molto più ampia magistralmente espressa da Heinrich Wölfflin nella prefazione ai suoi Prolegomeni a una psicologia dell'architettura2, scritto nel 1886 dall'autore appena ventiduenne come dissertazione inaugurale alla Facoltà di Filosofia dell'Università di Monaco: "come è ossibile che delle forme architettoniche siano espressione di un'anima, di una Stimmung"?
Dunque il problema è questo: è ancora possibile oggi prendere in considerazione le risorse comunicative degli ordini architettonici per produrre significati attraverso l'architettura?1 L. Quaroni, Progettare un edificio. Otto lezioni di architettura, Gabriele Mazzotta editore, Milano 1977, p. 215.
2 H. Wölfflin, Prolegomena zu einer Psychologie der Architektur, 1886. French edition: Wölfflin, Prolégomènes à une psychologie de l’architecture, introduction by Bruno Queysanne, Editions Carré, 1996.